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jeudi, 05 février 2009

Parallelismi storici: Augusto e Mussolini

PARALLELISMI STORICI : AUGUSTO E MUSSOLINI

Ex: htpp://patriaeliberta.myblog.it

 

Parallelismi: Augusto e Mussolini

A e M.jpgNumerosi autori antichi hanno parlato di Historia magistra vitae ("la Storia è maestra di vita") - formula coniata da Cicerone -, e molti intellettuali posteriori ribadirono e riproposero il concetto. La Storia, intesa in senso gnoseologico (ossia la conoscenza che noi abbiamo dei fatti storici), sarebbe un ottimo "strumento" grazie al quale ci è possibile riconoscere eventi simili tra loro, e che ci permetterebbe quindi di comportarci di conseguenza. Lo stesso Machiavelli basò su questo concetto il suo celeberrimo trattato Il Principe: colui che conosce la storia e quali furono gli esempi di virtù o d’errore che occorsero di fronte ad analoghe condizioni, egli saprà indirizzare gli eventi a suo favore e sarà il "vero" e ottimo principe, ossia il reggitore dello Stato. Tuttavia Guicciardini si mostrò scettico nei confronti di questa teoria, e obiettò che gli avvenimenti storici non si ripetono mai nella stessa maniera, e che il buon statista deve essere in grado di interpretarli correttamente, escogitando volta a volta le soluzioni migliori.

Ma, per tornare a noi, è proprio vero che la storia è magistra vitae? Forse sì, ma esiste certamente anche l’altra faccia della medaglia: Vita magistra historiae ("la vita è maestra della Storia"), ossia ogni epoca ha riletto, interpretandole in maniere sempre diverse, alcune singole esperienze storiche, lasciandovi qualcosa di se stessa. Così è stato ad es. per Sparta, giacché i comunisti videro nella costituzione di Licurgo un fulgido esempio di uguaglianza tra i cittadini, mentre i nazionalsocialisti la esaltarono quale Stato "razziale" per eccellenza.

Anche la figura di Augusto, una delle più affascinanti che la Storia abbia conosciuto, subì lo stesso processo. Un caso interessante fu quello dell’identificazione, in epoca fascista, di Augusto con Mussolini (1883 - 1945). Nel 1937 cadeva infatti il bimillenario della nascita dell’imperatore, e fu allestita - non a caso - la Mostra Augustea della Romanità. Tale mostra, che ebbe sede nel Palazzo delle Esposizioni a Roma sotto la direzione del grande archeologo G. Q. Giglioli, raccoglieva un’imponente mole di riproduzioni di materiali inerenti alla storia di Roma antica, volendone essere una grandiosa celebrazione. Una sala dell’esposizione, l’ultima, era dedicata - per l’appunto - ad Augusto e Mussolini.

Ma perché il Duce del Fascismo era accostato ad Augusto? I motivi sono molteplici.

Augusto (63 a.C. - 14 d.C.), al contrario di quanto alcuni ancora credono, non fu il vero erede politico del padre adottivo Caio Giulio Cesare (100 - 44 a.C.). Cesare aveva in mente Roma come una monarchia universale, ossia uno Stato in continua espansione territoriale e governato da un monarca assoluto. Questa concezione era invero stata raccolta da Marco Antonio, suo fedele luogotenente e - non a caso - futuro nemico di Ottaviano (poi Augusto). L’ideale di quest’ultimo fu infatti quello che poi strutturò in quasi un cinquantennio di governo, ossia il principato, retto da un capo carismatico (princeps) e non necessariamente espansionista, più vicino al modello statuale di Pompeo.
Augusto fu quindi visto nei secoli come il virtuoso "architetto" e ordinatore dello Stato, contrapposto al Cesarismo, mito che ebbe anch’esso molta fortuna, ad es. presso colui che meglio lo personificò: Napoleone Bonaparte (1769 - 1821).

Tuttavia sia Augusto che Mussolini possono essere letti e accostati secondo due ruoli che rivestirono entrambi: il rivoluzionario e lo statista.

Ultimamente è tornata molto di moda l’espressione "la prima marcia su Roma" - formula coniata da Ronald Syme nella sua splendida The Roman Revolution (1939) -, ossia quella che iniziò il futuro Augusto il 19 agosto del 43 a.C. attraversando il Rubicone (come già fece suo padre Cesare). Si era appena conclusa la cosiddetta "guerra di Modena" tra Ottaviano, investito del potere dal senato, e Antonio; durante i combattimenti perirono - in maniera più che sospetta - i due consoli Irzio e Pansa: Roma ora non aveva più i sommi magistrati che reggevano la repubblica. Questo vuoto di potere - casuale o abilmente macchinato - offrì a Ottaviano la tanto agognata "occasione" (kairòs in greco): richiese al senato il consolato per sé e ricompense ai suoi soldati; al netto rifiuto non esitò a marciare sull’Urbe. Il giovanissimo Ottaviano (aveva solo diciannove anni!) era precoce, e mostrò tutta la sua abilità politica prima di entrare al senato: quest’ultimo gli aveva mandato a dire che era possibile indire regolari elezioni a cui gli era lecito partecipare. Ma a rifiuto Ottaviano oppose rifiuto, entrò nella curia e, gettando indietro il mantello e mostrando l'elsa della spada quasi del tutto sguainata, tuonò: "Questa lo farà console se non lo farete voi!". Allora Cicerone, prototipo del vecchio statista, si abbandonò a imbarazzanti blandizie con Ottaviano, con il recondito, benché vano, intento di poter meglio controllare il "ragazzo" (così lo chiamava nelle sue lettere). Questo ricordò a Syme il vecchio Giolitti che, dapprima umiliandosi, tentò invano di "pilotare", previa "marcia su Roma", il giovane (aveva appena trentanove anni) e arrembante Mussolini.

Ma il paragone tra Augusto e Mussolini per la Mostra Augustea della Romanità riguardava certamente le figure di Augusto e di Mussolini in quanto statisti.
Se durante la campagna etiopica, infatti, il Duce fu accostato, come si addiceva al fondatore del sorgente impero, a Cesare, negli anni successivi la propaganda del regime fascista pose l’accento sul Mussolini ordinatore dello Stato. La contrapposizione Cesare-Augusto aveva ispirato anni prima l’opera di Guglielmo Ferrero (1871 - 1942) Grandezza e decadenza di Roma (1906-7 in 5 volumi) che lodava il lavoro oscuro e paziente di Augusto (in antitesi con quello più appariscente e risonante di Cesare) identificandolo con Giolitti: paragone che certamente nobilitava oltremodo il vecchio statista italiano.

Al contrario la personalità politica di Benito Mussolini, grazie alla sua imponente e lungimirante opera di strutturazione del regime fascista, meglio si attagliava a quell’Augusto che, da vero "architetto", aveva dato forma al Principato con riforme che investirono quasi tutti gli aspetti dell’apparato statale romano. Altro tratto in comune tra i due "duci", fu il carattere restauratore delle due rivoluzioni a cui diedero vita: Augusto, nel fondare il nuovo Stato, si propose di restaurare – per l’appunto – la tanto amata Res Publica, attraverso un oculato compromesso formale (come scrisse Tacito, i nomi erano gli stessi ma altri erano i concetti che essi esprimevano); anche Mussolini aveva donato alla rivoluzione fascista una connotazione non già sovversiva, bensì restauratrice. Ora che tale rivoluzione si stava esaurendo, e il Fascismo si andava affermando quindi come Regime, fu logica - e tutt’altro che peregrina - l’identificazione di Mussolini con Augusto.

Un ulteriore carattere lega, infine, i due statisti: l’auctoritas, la quale era la base del loro potere e che traeva la propria forza e legittimazione dal consenso pressoché unanime del popolo di cui essi godevano.

Tuttavia gli eventi che conclusero le loro esistenze non possono che differire in maniera più netta. Augusto morì alla veneranda età di quasi settantasei anni, con l’intima soddisfazione di aver edificato le fondamenta della Roma imperiale col plauso dei contemporanei e dei posteri; al contrario Mussolini soffrì il patibolo, al quale si avviò con l’animo sconsolato di chi è stato tradito da un popolo che tanto aveva amato, che, ingrato, avrebbe bestemmiato il suo nome nei decenni a venire.

Fonte: http://augustomovimento.blogspot.com/2008/11/paralleli...

vendredi, 30 janvier 2009

La invasion de Italia por los galos y sus consecuencias para la Republica Romana

 

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La invasión de Italia por los galos y sus consecuencias para la República Romana

por Gonzalo Fernández / http://www.arbil.org/

Una de las historias/leyendas constitutivas de Roma

El siglo IV a.C. empieza en Roma con su conquista de la ciudad etrusca de Veyes en 395 a.C. tras un asedio de diez años. Veyes está situada en la margen septentrional del Tíber a la que los latinos llaman latus tuscum (costado etrusco). Roma tiene problemas con Veyes a lo largo del siglo V a.C. por la disputa entre ambas ciudades por el dominio de Fidenas que controla la Vía Salaria o camino por el que la sal llega a Roma. Marco Furio Camilo conquista Veyes en 395 a.C. y esto acarrea cuatro efectos en Roma

 

- La génesis en la Urbe de una poesía épica gentilicia que canta las hazañas de sus héroes (vg. Aulo Cornelio Caso y Marco Furio Camilo) durante las varias contiendas con Veyes. Esa épica gentilicia pasa luego a los analistas y de éstos a Tito Livio quien la recoge en sus Décadas. En nuestros días se conocen esas hazañas por medio de los relatos en prosa de Tito Livio

 

- El  paso de una organización gentilicia de la milicia urbana a otra estatal durante el asedio de Veyes

 

- La metamorfosis de Roma desde una ciudad-estado a un estado territorial con la ocupación de los primeros territorios transtiberinos

 

- El dominio de la Vía Salaria

 

Los galos en Italia

 

El éxito romano con Veyes pronto va a verse empañado por la llegada de los galos a la Península Itálica. Hacia 400 a.C. unas tribus galas atraviesan los Alpes. Son los galos senones, ínsubres, cenómenos, lingones y boios. En Italia se apoderan de las colonias etruscas de Lombardía, el Trentino y la Emilia entre las que destacan las actuales ciudades de Milán, Trento y Bolonia. Los etruscos habían llegado hasta los Alpes desde la zona originaria de su cultura que se extiende entre los ríos Arno y Tíber a la que se puede llamar Etruria Nuclear o Propia. En su marcha hacia el norte los etruscos dominan a los habitantes de aquellas zonas de la misma manera con la que sujetan a los villanovianos aborígenes de la Etruria Nuclear: creando un sector dominado de la población parecido a los hilotas en Esparta o a los pies de polvo de Tesalia dentro del mundo griego.

 

El control de los aborígenes por los etruscos es menor en Lombardía, Trentino y Emilia que en la Etruria Propia. Además las colonias etruscas allende el Arno tienen menor importancia que las ciudades-estado de la Etruria Nuclear y sus fortificaciones son más imperfectas. Ello explica que los invasores galos conquisten con tanta facilidad Lombardía, Trentino y Emilia. Además los aborígenes sometidos a los etruscos en aquellas regiones no ofrecen resistencia a los galos pues igual les da verse dominados por los etruscos que por los galos.

 

Los galos intentan ocupar el Véneto. Sin embargo allí topan con una fortísima oposición de los vénetos. Los vénetos se hallan menos avanzados culturalmente que los etruscos pero no tienen esos sectores dominados que no hacen resistencia a los galos. Esto hace que los galos no puedan ocupar el Véneto. Una de esas tribus galas es la de los senones. Sus miembros descienden por el litoral adriático de la Península Italiana tras verse rechazados por los vénetos.

 

Los senones se dirigen hacia la Etruria Nuclear y el Lacio. Atacan la ciudad etrusca de Clusio. Acto seguido marchan contra Roma. Los romanos intentan frenarles en la batalla del río Alia. Su fecha se discute entre 390 y 387 a.C. La batalla del río Alia supone un desastre total de la milicia urbana de Roma. A lo largo de toda la historia del Pueblo-Rey el aniversario de la derrota de Alia figuraba en los calendarios como el dies alliensis (día de Alia). El dies alliensis recibe asimismo las calificaciones de dies religiosus (día religioso), dies nefastus (día nefasto) y dies fatalis (día fatal). El dies alliensis supone una auténtica jornada de luto nacional en cuyo decurso se prohíben en Roma todas las actividades públicas y privadas.

 

Los galos senones en Roma

 

La analística narra que tras la debacle del río Alia los galos se dirigen a Roma. Al llegar a la Ciudad Eterna los senadores les esperan inmóviles en el edificio del Senado. Los galos creen que los senadores son estatuas hasta que uno de ellos mesa la barba a un senador. Éste abofetea al galo desencadenándose la matanza de los senadores. Los romanos se refugian en el Capitolio. El jefe de los galos de nombre Breno ofrece la rendición a Roma a cambio de un botín en oro con su célebre sentencia Vae victis (!Ay de los vencidos!) . Al oírlo Marco Furio Camilo (el vencedor de Veyes en 395 a.C.) contesta con una frase lapidaria nec cum auro sed cum ferro (no con oro sino con hierro) que empuja a los romanos a tomar las armas y a rechazar a los galos de la Urbe.

 

Todo esto es muy bello pero no tiene consistencia histórica. La arqueología demuestra que en la primera mitad de la segunda década del siglo IV a.C. Roma queda destruida por completo. Incluso es probable que los supervivientes hubieran de pagar un tributo en oro a los galos senones para que éstos no se quedaran en Roma. Así lo hacen y se trasladan al norte de los ríos Arno y Rubicón donde se establecen con sus hermanos de etnia ínsubres, cenómenos, lingones y boios. Por tanto los latinos llaman Galia Cisalpina a la zona de Italia al norte de los ríos Arno y Rubicón y cuyo eje viene dado por la corriente fluvial del Pó.

 

La ciudad etrusca de Ceres y el ataque de Breno a Roma

 

Mucho más interesante es la noticia de Plutarco en sus Vidas Paralelas correspondiente a la biografía de Marco Furio Camilo. Plutarco recoge un texto de Aristóteles donde el Estagirita afirma también en Italia ha habido una resistencia a los galos, y que Roma se salvó gracias a un tal Lucio. Aristóteles se refiere al plebeyo Lucio Albino. Antes de que Breno cierre el cerco de Roma Lucio Albino recoge los sacra de la Ciudad Eterna que son los objetos que Eneas había salvado de Troya según la tradición. Entre aquellos sacra el más venerado es el Paladión. El Paladión consiste en una estatua de la diosa griega Palas Atenea (la Minerva de los romanos) supuestamente caída del cielo en el momento fundacional de Troya que Eneas salva antes de la entrada de los aqueos en la ciudad y lleva consigo a Italia. Lucio Albino traslada a la ciudad etrusca de Ceres los sacra de Roma,  las Vestales y el fuego sagrado de la Urbe que las vestales guardan.

 

Una vez pasado el peligro galo Roma agradece la ayuda de Ceres concediendo a sus habitantes el ius ceritium (derecho de los cérites). El ius ceritium otorga a los cérites la civitas sine suffragio es decir la ciudadanía romana menos las capacidades de votar en las elecciones (ius sufragii), acceder a las magistraturas romanas (ius honorum) y servir en la milicia urbana de Roma (ius militiae). Los cérites poseen el ius comercii (derecho a comerciar con ciudadanos romanos), ius conubii (derecho a casarse con ciudadanos o ciudadanas romanas), ius provocationis (derecho a ejercer la provocatio ad populum  o posibilidad de apelar ante los comicios curiados en la Urbe de las decisiones de los magistrados romanos que consideren lesivas a sus intereses), ius actionis (posibilidad de acudir a los tribunales de justicia del Pueblo-Rey) y  testamenti factio activa (capacidad de testar) y pasiva (posibilidad de beneficiarse de un testamento) reconocidas en Roma. Este último derecho permite a los cérites beneficiar en sus testamentos a ciudadanos romanos (testamenti factio activa) o beneficiarse de testamentos hechos por ciudadanos romanos (testamenti factio pasiva).  En esta época el ius ceritum aporta una situación muy favorable a los cérites pues el ius suffragii, el ius honorum y el ius militiae lo ejercen en Ceres que es su ciudad natal y su sitio habitual de residencia. A comienzos del siglo IV a.C. los cérites tienen las ventajas de la ciudadanía romana pero no sus cargas. Con el paso del tiempo el ius ceritum adopta un sentido más negativo cuando Roma lo otorga a extranjeros que no son cérites y viven en la Urbe pues éstos no pueden participar en la vida política de la Ciudad Eterna ni como electores ni como elegidos.

 

Los efectos en Roma de la invasión gala

 

Una vez pagado el tributo y conseguida la marcha de los galos senones la República Romana toma dos iniciativas:

 

- La reconstrucción completa de la Ciudad incluidas sus murallas

 

- La creación de la legión como unidad básica de la milicia urbana con 6.000 hombres que se dividen según la edad en las tres líneas sucesivas de príncipes (los más jóvenes en la primera línea), hastados (los menos jóvenes en la segunda línea) y triarios (los maduros en la tercera línea)

 

·- ·-· -······-·
Gonzalo Fernández,

 

Bibliografía Básica

 

BARFIELD, L. Northern Italy. Londres, 1971.

 

BERNAGOZZI, G. La storiografia romana dalle origini a Livio. Bolonia, 1953.

 

BLOCH, R. Tite Live et les premiers siècles de Rome. París, 1965.

 

EISEN, K.F. Polybiosinterpretationen. Beobachtungen zu Prinzipien griechischer und römischer Historiographie bei Polybios. Heidelberg, 1966.

 

HARRIS, W.V. Rome in Etruia and Umbria. Oxford, 1971.

 

HUBEAUX, J. Rome et Véies. París, 1958.

 

HUBERT, H. Les Celtes depuis l'époque de La Tène et la civilisation celtique. 3ª ed., París, 1958.

 

MAZZA, M. Storia e ideologia in Livio. Per un analisi storiografico della Praefatio ab Urbe condita. Catania, 1966.

 

PETZOLD, K.E. Studien zur Methode des Polybios und zu ihrer historischen Auswertung. Munich, 1969

 

SORDI, M. I rapporti romano-ceriti e l'origine della civitas sine suffragio. Roma, 1960.

 

TOZZI, P. Storia padana antica. Milán, 1972.

 

WOLSKI, J. La prise de Rome par les celtes et la formation de l'annalistique romaine, Historia, 5, 1956, págs. 24 - 52

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vendredi, 23 janvier 2009

Die Varusschlacht - Der germanische Freiheitskrieg


Die Varusschlacht
Der germanische Freiheitskrieg

ca. 256 Seiten, € 16,90 [D]
Erscheint: Februar 2009


Das Medien-Ereignis 2009: 2000 Jahre Schlacht im Teuteburger Wald - alles, was man wissen muß
Was geschah wirklich im Jahre 9 n. Chr. in den Tiefen Germaniens? Was hatten die Römer im Teutoburger Wald zu suchen? Wer war Arminius, wofür kämpfte er, wie besiegte er die römischen Legionen? Warum geriet Varus, ein erfahrener Heerführer des Imperium Romanum, in den Hinterhalt germanischer Stammeskrieger? Wo genau fand die Schlacht statt, wie lange dauerte sie, wie viele Kämpfer waren beteiligt, welche Waffen kamen zum Einsatz?

Das alles und noch viel mehr weiß Focus-Redakteur Christian Pantle auf ebenso kenntnisreiche wie unterhaltsame Weise zu beantworten. Im Stil einer Reportage führt er uns an die Anfänge unserer Zeitrechnung, als die antike Supermacht im Zenit ihrer Machtentfaltung stand und dabei war, sich große Teile Germaniens einzuverleiben. Mit der spektakulären Niederlage am Teutoburger Wald wendete sich das Blatt in dem fast dreißigjährigen Krieg - mit bis heute spürbaren Folgen für die Geschichte Europas. Pantle versteht es glänzend, das dramatische Schlachtgetümmel plastisch zu schildern und die Protagonisten lebendig werden zu lassen. Wir erfahren Neues über die jüngsten archäologischen Funde, lernen den Schauplatz des Geschehens kennen und staunen über die geniale Taktik, mit der Arminius seinen Gegenspieler in die Falle lockte. Abbildungen, Schaubilder und Karten ergänzen Pantles Bericht und machen das Buch zur idealen Einführung in eines der spannendsten Kapitel unserer Geschichte.

samedi, 25 octobre 2008

Flavius Claudius Julianus

Flavius Claudius Iulianus

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Luigi Carlo Schiavone (ex: http://www.rinascita.info) stampa
Flavius Claudius Iulianus

La storiografia cattolica non ha mai mancato, nel corso dei secoli, di trattare con dileggio personaggi dall’elevato significato storico, rei solamente di non essersi piegati alla regola temporale e spirituale originata dal soglio di Pietro. Tra le vittime, tra i vari “anticristi” illustri, riconosciuti da quella che Benito Mussolini considerava una setta orientale che aveva avuto la fortuna di assurgere a religione universale solo dopo essersi impiantata a Roma, ricordiamo Flavius Claudius Iulianus assurto alla dignità imperiale nel novembre del 361 d.C.
Ultimo guardiano della tradizione pagana, che fu nerbo dell’istituzione politica dell’Impero romano nel periodo di suo massimo splendore, Giuliano, che noi preferiamo ricordare come “il Filosofo” e retto amministratore anziché come “l’Apostata”, divenne, per gli storici cristiani, la perfetta incarnazione del male e presentato, per tutto il medioevo, come il persecutore di cristiani. Tale affermazione, però, rappresenta già una prima forzatura visto che la visione pagana posta da Giuliano alla base del suo regno fu garanzia di rispetto per tutti i culti presenti nell’Impero al contrario del cristianesimo, che divenne religione di stato con Costantino I, aspramente criticato dall’Imperatore-filosofo attraverso le sue opere.
L’esistenza terrena di Giuliano ebbe inizio nel 331 d.C. a Costantinopoli. Figlio di Giulio Costanzo, fratellastro di Costantino, scampò, grazie alla giovane età, alle epurazioni attuate, alla morte di Costantino, dai figli Costantino II, Costanzo II e Costante che, divenuti imperatori nel 337 d.C., diedero vita a tali misure al fine di estirpare ogni residuo della discendenza di Teodora. Morto Giulio Costanzo, quindi, per i figli Giuliano e Gallo si aprì la strada dell’esilio; per una sottile ironia della sorte e a causa degli obblighi imposti dal rango, il futuro Apostata, in esilio a Nicomedia, fu affidato alle cure del vescovo Eusebio. Qui, il futuro Imperatore conobbe Mardonio, tutore di sua madre Basilina, che, seppur cristiano, adorava la letteratura classica. Nicomedia, tuttavia, risultò essere solo l’inizio del pellegrinaggio del giovane Giuliano; nel 342 d.C., infatti, egli venne trasferito a Macellumm, in Cappadocia, per essere posto sotto la tutela del vescovo di Cesarea, Giorgio. Da Macellum, e dalla biblioteca zeppa di testi neoplatonici del vescovo Giorgio, Giuliano andò via solo nel 348 d.C., anno in cui, col termine dell’esilio, fece ritorno a Costantinopoli. Qui, sotto la supervisione di due maestri, Nicola, pagano, ed Eusebio, cristiano che si convertì al paganesimo nel momento dell’ascesa dell’imperatore salvo far ritorno alla “casa madre” dopo la dipartita dell’allievo, l’ormai sedicenne Giuliano continuò i suoi studi. Il comportamento tenuto da Giuliano a Costantinopoli, però, non risultò gradito alla corte imperiale, che, insospettita dai suoi atteggiamenti, si espresse nuovamente a favore dell’esilio. Tornato a Nicomedia, come molti anni prima, Giuliano fece la conoscenza del filosofo neoplatonico Libanio. A Pergamo, tappa successiva del suo vagare, fu allievo di Edesio, successore di Giamblico alla guida della scuola neoplatonica. Tappa finale del suo pellegrinaggio fu, infine, Efeso dove, in qualità di allievo del filosofo e teurgo Massimo, venne iniziato ai misteri del Dio Mithra.
Una nuova fase della vita di Giuliano stava per avere inizio. Nel 354 d.C., infatti, il fratello Gallo, Cesare d’Oriente dal 348 d.C., venne accusato di cospirazione e giustiziato a Milano; l’imperatore Costanzo II, inoltre, nutrendo sospetti anche su Giuliano decise di imprigionarlo a Como. Liberato per intercessione dell’imperatrice Eusebia, Giuliano conobbe nuovamente il carcere in quanto accusato d’aver ordito un complotto in combutta con il Comandante delle Gallie, Silvano.
Grazie ad una nuova intercessione dell’Imperatrice Eusebia, tuttavia, nella primavera del 355 Giuliano fu di nuovo scarcerato. I favori dell’Imperatrice, però, non erano destinati ad esaurirsi con quest’ultimo atto; fu proprio Eusebia, infatti, a caldeggiare presso l’Imperatore, nel’autunno del 355 d.C., la nomina di Giuliano a Cesare delle Gallie. Questo titolo era sì carico di onori, ma non esente da oneri, visto che a Giuliano ora toccava l’ingrato compito di difendere un territorio costantemente in subbuglio a causa dei continui attacchi degli Alamanni. Non vi era, quindi, redenzione in Costanzo II, ma solo la volontà di veder perire in una impresa difficile un potenziale concorrente verso il quale i sospetti non si erano mai attenuati. Tale ipotesi può trovare facile conferma nel fatto che a Giuliano venne concesso di condurre in Gallia solo quattro collaboratori fidati (tra cui il medico Oribasio, autore, tra l’altro, di un’importante Enciclopedia medica), mentre il resto del seguito del nuovo Cesare era composto da elementi al soldo di Costanzo II col compito di “monitorare” l’attività di Giuliano.
I nemici di Giuliano, tuttavia, s’annidavano anche in settori differenti dalla sua corte; basti pensare che, nel 356 d.C., all’inizio dell’offensiva contro gli Alamanni, Marcello, comandante militare della Gallia fedele a Costanzo II, decise di dare inizio alla riconquista di Colonia informandone Giuliano solo dopo che le sue truppe s’erano messe in marcia. Ma il Cesare delle Gallie decise di non perdersi d’animo e dimostrare di che pasta era fatto; nei pressi di Augustodunum (odierna Autun), infatti, coadiuvato solo da poche centinaia di cavalieri, decise di attaccare le armate germaniche. Una vittoria, questa, che gli consentì d’essere ammesso da Marcello nel suo comando. Nonostante ciò, i dissidi tra i due erano lungi dall’essere appianati. Il dissapore di Marcello verso Giuliano, infatti, divenne palese durante l’assedio di Senonae (odierna Sens). Giuliano, in forte inferiorità numerica, dovette tener testa ad un esercito germanico più numeroso e molto determinato; Marcello, stanziato con le sue forze nelle vicinanze della battaglia decise di non intervenire covando la segreta speranza che Giuliano fallisse. Marcello pagò cara questa sua defezione e venne destituito dal comando, che fu affidato a Severo.
Nel 357 d.C. ad Argentoratum (odierna Strasburgo) si tenne la prima delle battaglie volta a minare definitivamente le speranze germaniche sulla conquista della Gallia. Forte solo di tredicimila uomini contro le molte migliaia di avversari, Giuliano decimò le armate degli Alamanni ed imprigionò il loro Re. Altri tentativi di attaccare la Gallia vi furono negli anni successivi ma sia i Franchi (358) che gli Alamanni (360) vennero fiaccati nelle loro volontà di conquista.
Il periodo che seguì fu, per la Gallia, prospero e felice; Giuliano, insediatosi a Lutetia Parisorium (odierna Parigi) attuò una serie di manovre volte a ridurre la pressione fiscale. Non mancò, inoltre, di perseguire, efficacemente, la corruzione serpeggiante tra i ranghi dei funzionari imperiali.
I suoi successi, però, suscitarono, ben presto, le invidie di Costanzo II. Queste, legate anche a probabili volontà espansionistiche, furono le ragioni che si trovano alla base dell’ordine emesso dall’Imperatore nel gennaio del 360 d.C. in cui chiede, al Cesare delle Gallie, di stanziare metà delle sue truppe, volte a salvaguardare il confine da nuovi attacchi germanici, in Siria da cui avrebbe avuto inizio l’attacco contro la Persia. Tale ordine, però, fu mal accolto dai legionari di Giuliano, i quali erano stai arruolati con la garanzia d’essere impiegati esclusivamente nel territorio d’origine e per questo decisero di ammutinarsi e conferire al loro Cesare, nel febbraio del 360, il titolo di Imperatore. Giuliano, che dapprima si mostrò restio ad una simile ipotesi, decise, in seguito ad un sogno premonitore, di accettare, in assenza di diadema, la corona di ferro barbarica offertagli dalle sue legioni che non mancarono di portarlo in trionfo sugli scudi in omaggio alla tradizione gallica.
Ora non restava che comunicare la decisione a Costanzo II; con due lettere, una ufficiale e l’altra confidenziale, in cui oltre a riconfermare la sua fedeltà all’Imperatore lo accusava apertamente dei massacri sopraggiunti alla morte di Costantino, Giuliano cercò di raggiungere un’intesa con Costanzo II che, mostratosi restio ad accogliere le proposte concilianti presenti nelle missive, da Antiochia fece macchina indietro con le sue truppe lanciandosi a caccia di Giuliano; ma a Mopsucrene, nei pressi di Tarso in Cilicia, Costanzo II fu colpito da una grave malattia che lo condusse alla morte il 3 novembre 361. Come suo legittimo successore indicò Giuliano che, l’11 dicembre 361, all’età di 28 anni poteva fare il suo ingresso trionfale a Costantinopoli.
Memore dell’esperienza come Cesare in Gallia, Giuliano si mostrò un buon amministratore dell’Impero; sebbene avesse instaurato dei tribunali per punire coloro che si erano macchiati di crimini nel corso del regno di Costanzo II, nel gennaio del 362, alla conclusione dei processi che videro come protagonista l’establishment del vecchio Imperatore si poterono contare solo poche condanne a morte. Altre furono le misure che val la pena di menzionare, dall’eliminazione di ogni lusso dalla corte imperiale, alla soppressione, eccezion fatta per il primo giorno dell’anno, di feste e spettacoli dalla corte, alle coraggiose misure in campo fiscale ed amministrativo. Consapevole che le tasse non dovessero essere estorte, ma che fosse necessario affidarsi alla buona volontà dei cittadini, infatti, Giuliano promosse una dilazione per le imposte arretrate oltre a concedere ampia autonomia alle città cui venne affidata la gestione del potere civile e religioso e vennero riconsegnate le terre precedentemente confiscate dallo Stato e dalla Chiesa. Molti poteri, inoltre, furono restituiti al senato di Costantinopoli.
Ma la fama di Giuliano, come accennato in precedenza, va legata indissolubilmente alle manovre attuate in campo religioso. Nel 361 egli si era dichiarato apertamente pagano e, ampiamente convinto che “la verità è unica e allo stesso modo la filosofia è una e tuttavia non c’è motivo di stupirsi se seguiamo strade completamente diverse per raggiungerla”, decise di emanare il 4 febbraio 362, in conformità alla tolleranza propria dello spirito pagano, un editto in cui, oltre ad essere autorizzate tutte le religioni, vennero eliminate tutte le misure restrittive emesse da Costanzo II nei confronti di ebrei, cristiani e pagani che decidevano di non appoggiare la sua linea volta a rilanciare il credo ariano.
Questo documento è di importanza fondamentale in quanto, dopo il regno di Giuliano, l’occidente dovrà attendere più di mille anni prima di poter riparlare di libertà religiosa. Coadiuvato dai maestri neoplatonici Massimo e Prisco decise di riaprire i templi pagani e di ricostruire il tempio di Gerusalemme. Dipinto come il persecutore di cristiani per antonomasia, l’unico atto veramente discriminatorio che Giuliano compì nei confronti di questi fu l’editto del 17 giugno del 362 con cui impediva ai professori cristiani di insegnare la retorica. Questa, infatti, era parte integrante della tradizione classica e per Giuliano, il quale, secondo Libanio, considerava lo studio delle lettere e il culto degli dei come fratelli, era “assurdo che coloro che devono commentare gli autori classici disprezzino gli dei da loro onorati”. A parte ciò il “demoniaco” Giuliano attuò alcuna persecuzione ma si limitò, esclusivamente, ad eliminare qualsiasi sovvenzione concessa alle chiese cristiane e obbligò chiunque si fosse macchiato di aver distrutto chiese avversarie a ricostruirle a proprie spese e permettendo, inoltre, il ritorno in patria a tutti coloro che ne erano stati allontanati in quanto eretici.
Se queste furono le misure adottate contro i cristiani nella veste di Imperatore, maggiormente carichi di significato possono essere considerati i passaggi, in cui, nelle sue opere, Giuliano, vestendo l’abito del filosofo, critica la confessione cristiana. Considerata come religione contraria alla logica e al buon senso e del tutto refrattaria dalla ricerca di verità e rettitudine, Giuliano non manca di identificare tale fede, nell’opera “Contro i Galilei”, come un prodotto spurio opera di una minoranza di ebrei che distaccatisi dalla propria tradizione avevano fatto confluire in essa elementi propri della tradizione greca. Questi “apostati del giudaismo”, infatti, secondo Giuliano: “raccolsero i vizi di entrambe queste religioni: la negazione degli Dei dall’intolleranza ebrea, la vita leggera e corrotta dall’indolenza e dalla volgarità nostra: e ciò osarono chiamare la religione perfetta”.
Ma le accuse mosse da Giuliano riguardavano l’intero complesso di un credo che egli aveva conosciuto a fondo; ne dileggiò le innumerevoli contraddizioni e non mancò di condannare le molteplici manifestazioni di intolleranza verso gli eretici e le divinità pagane a cui i fedeli del “Dio dell’amore” s’erano abbandonati fin dalle origini della loro confessione. Al costrutto delle “finzioni mostruose”, proprie della religione cristiana, l’Imperatore opponeva la bellezza dei vecchi culti. La concezione di un mondo divino “perfettamente bello” fu esaltata da Giuliano negli inni ad Helios Re e alla Madre degli Dei venendo, quindi, a contrapporsi apertamente sia alla misera storia contingente del “profeta crocifisso”, giustamente punito, secondo l’Imperatore, come tutti gli altri perturbatori dell’ordine pubblico, sia alla più povera visione del mondo tipica della concezione cristiana. Non meno vivace, inoltre, fu la polemica che l’Imperatore Giuliano instaurò con i filosofi cinici, da lui osteggiati in quanto considerati, per molti aspetti, simili a cristiani e rei per l’Imperatore, “di non aver saputo riproporre, nell’impero, l’antica cultura greco-romana”, secondo una visione che sarà ripresa anche da Michel Foucalt nel suo “Discorsi e verità”. Nel maggio del 362 Giuliano decise di lasciare Costantinopoli per stabilirsi in Asia Minore cercando di attuare una serie di manovre che dessero corpo al vecchio sogno di Alessandro Magno ossia unire l’Oriente all’Occidente. Antiochia, ancora una volta, venne eletto come il luogo da cui l’Impero avrebbe mosso contro quella Persia ancora scossa dalle recenti azioni intraprese da Costanzo II.
Il 5 marzo del 363, dopo aver diviso l’esercito in due tronconi ed elaborato una strategia che li vedeva muoversi in direzioni differenti, Giuliano mosse da Antiochia verso l’Eufrate; in maggio l’esercito imperiale ottenne, nei pressi della capitale persiana Ctesifonte, una grande vittoria ma Giuliano, assaporando l’idea di una battaglia campale contro il Re Persiano Sapore quale atto ultimo della tenzone, decise di non metterla sotto assedio. Dopo aver risalito il Tigri inflisse, a Manrosa, una nuova sconfitta all’esercito persiano. La sua marcia sembrava inarrestabile finché, il 26 giugno 363, nel corso di un attacco posto in essere dai persiani nei confronti dell’esercito in marcia, Giuliano, che s’era posto frettolosamente al fianco dei suoi uomini dimenticando di indossare la corazza, fu colpito al fegato da una lancia.
Amorevolmente assistito dai filosofi Massimo e Prisco, con cui aveva passato molte ore a discutere di filosofia, l’Imperatore Giuliano perì, serenamente, nella notte. Due le versioni che interessano il destino delle sue spoglie mortali: per alcuni il cadavere dell’Imperatore fu portato a Tarso dove venne bruciato e sepolto di fronte la tomba dell’imperatore Massimo Daia mentre, secondo Libanio la salma fu traslata ad Atene e sepolta accanto a Platone.
“Avrebbe senza dubbio modificato il corso della storia, se il colpo di un arciere sconosciuto non gli avesse trafitto il fianco all’età di trentadue anni, come dimostra lo sforzo accanito con cui, subito dopo la morte immatura, si cercò di demolirne la figura: distrutti i suoi scritti, dichiarate decadute le sue leggi, cancellate a colpi di scalpello le epigrafi che ricordavano le sue imprese. Fu il primo tentativo meditato per radiare un capo di Stato dalla pagine della storia e impedire che le generazioni future ne serbassero memoria. Ma non ebbe successo. La personalità di Giuliano, che si proponeva di rigenerare il politeismo, era troppo spiccata e testimonianze a lui favorevoli vennero di continuo alla luce, così furono sistematicamente falsate le notizie sul suo carattere, i suoi atti, le sue opinioni”. Con questa nota si apre l’edizione italiana della biografia di Giuliano redatta dal francese J. Benoist-Mechin e con essa riteniamo doveroso chiudere questo articolo dedicato all’Imperatore. Condannato alla damnatio memoriae dagli adepti di quella setta per cui è ancora difficile accettare che la terra è tonda e gira intorno al sole, la figura di Giuliano assunse tratti d’attualità durante l’illuminismo quando individui come Voltaire lo innalzarono a simbolo della lotta contro l’oscurantismo religioso.
Vestito, durante il Romanticismo, come un eroe romantico ante litteram l’esempio dell’Imperatore Giuliano merita d’essere ricordato anche in questo mondo contemporaneo sempre più dilaniato da nuovi conflitti dei quali si tende sempre più ad evidenziare i tratti religiosi al solo scopo di giustificare la legittimità di quella torbida teoria dello scontro di civiltà ed alimentare la paura, mentre volutamente si dimenticano e si omettono i reali interessi politici, economici e finanziari che reggono gli attuali teatri di guerra.
Qualunque governante che abbia oggi reale interesse nel tutelare il proprio paese dovrebbe seguire l’esempio dell’amministratore Giuliano e non lasciarsi trascinare in vortici di violenza che hanno il solo scopo di difendere un sistema-mondo ormai desueto e votato al crollo. Crollo che avverrà comunque, anche se benedetto da chi si considera da sempre il custode di una verità nel cui nome molti innocenti sono stati massacrati. Peccato, tuttavia, che nessuno dei moderni gestori del potere sia pronto ad accettare e far sua la lezione dell’Imperatore Giuliano. In attesa di un rinnovamento spirituale e politico, insomma, non ci resta altro da fare che assistere quotidianamente allo sgradevole spettacolo offertoci da tanti emuli di Enrico II incapaci, per compiacenza e convenienza, di sottrarsi alle robuste nerbate inflitte sulle loro flaccide natiche dagli inquilini indesiderati della città di Roma; noi, d’altro canto, incuranti di scomuniche ed anatemi non esitiamo rendere omaggio a Giuliano Imperatore.

19:39 Publié dans Histoire | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : antiquité, antiquité romaine, rome, méditerranée, italie | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook